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ISABELLA e BENEDETTA TERRANEO

Benedetta ed Isabella Terraneo

IMPRENDITRICI DELLA TENUTA CASTELVECCHIO

Dici Castelvecchio e la fantasia si inebria del profumo del mosto, dei colori autunnali del Carso, di ricordi di qualche matrimonio bucolico, dell’ipnotica densa colata dell’olio. La tenuta di Castelvecchio sa di buono e, come tutte le cose che sanno di buono, le ami già all’idea accogliendole con quel desiderio non solo di conoscere, ma anche di carpirne i segreti più remoti degustando un buon calice di vino.

I suoi sono numeri invidiabili: oltre 35 ettari coltivati a vigneti, più del doppio di boschi, una cenerentola preziosa della produzione dell’olio, i ricevimenti, la custodia del Tempietto, delle Barchesse, la gestione della foresteria, la Villa. Un’eccellenza vitivinicola fiore all’occhiello della Regione Friuli Venezia Giulia che nasce sulle alture di Sagrado nel 1750 e che dagli anni ottanta è di esclusiva proprietà della famiglia Terraneo, noti imprenditori di origini comasche.

Raggiunta la foresteria per l’intervista, alle pareti non ritrovo le tradizionali foto in bianco e nero degli avi che lavoravano tra i filari perchè la forza di questa famiglia non è alle spalle ma è tutta contemporanea e presente. Quando si dice “innamorarsi di un posto a prima vista”, così andò nel 1986 e da allora Castelvecchio è diventato “il quarto figlio” di mamma Mirella e papà Leopoldo dopo il primogenito maschio e due sorelle, Benedetta e Isabella, rispettivamente responsabili del marketing e della produzione: giovani donne che, se non fossero delle affermate imprenditrici, sarebbero due modelle dall’imponente slanciata fisicità.

Mentirei se non dicessi che il piglio di comprare un’azienda vitivinicola, entro uno sviluppo imprenditoriale di tutt’altro filone, mi ha ricordato l’audacia di chi “molla tutto e scappa via” e invece quella che mi si è rivelata non è la storia di un salto nel buio, di animi spregiudicati e avventati o, come spesso accade in chi cambia vita, la fuga dai precedenti insuccessi: questa storia è il coronamento di un successo familiare costruito con impegno, enormi investimenti, continua ricerca e devozione quotidiana.  

Benedetta e Isabella sono le mie “donne del vino” dove il loro racconto svela l’enorme responsabilità di preservare e rilanciare la competitività di questo posto da favola: una continua ossessiva ricerca del meglio per poter restare sempre sulla vetta del mercato vitivinicolo regionale, italiano e internazionale.

Pensate che sia semplice? Leggete e scopritelo.

Isabella, Benedetta, partiamo dall’inizio: cosa significa per voi lavorare nella vostra azienda familiare?

Isabella. Che non lasci mai fuori la parola lavoro. Bisogna essere molto affiatati: noi siamo molto uniti e il lavoro in questo ne contribuisce, ma dobbiamo gestire anche le nostre divergenze dove è doveroso fare un passo indietro nell’interesse del bene maggiore che è appunto l’unità. E poi abbiamo la responsabilità di quindici lavoratori e di tutti gli avventizi durante le vendemmie: volenterosi il cui numero d’ingresso non coincide mai con quello finale perché la fatica di lavorare la terra già alle 5.30 della mattina, per ore ricurvo, è una spiacevole scoperta.

Benedetta. Oltre alle difficoltà ordinarie fra tutti noi vorrei ricordare il nostro capo indiscusso che è la natura che è imprevedibile: una grandinata, l’arsura, le escursioni termiche, un picco di gradazione alcolica…qualunque cosa potrebbe rovinare la fatica sapientemente distribuita in tutto un anno costringendoci a restare fuori mercato per un’intera stagione. E’ questo che caratterizza il nostro lavoro rispetto a qualunque altro, che ci fa sentire fondamentalmente delle lavoratrici della terra dove di lusso c’è veramente ben poco.

Quando si riceve dai propri genitori una tenuta come quella di Castelvecchio, azienda vitivinicola storica della nostra Regione, è una fortuna o una zavorra?

Isabella. E’ inevitabile che quando si nasce in un contesto così si seguano le orme dei propri genitori. Io, appena ho potuto, mi sono sentita in dovere di iniziare a lavorare qui desiderosa di arrivare al pratico tra le cantine e il magazzino scoprendo poi che non era così facile come credessi: c’è un equilibrio da mantenere, familiare e lavorativo, ove senza dubbio pesa il senso del confronto con i risultati raggiunti dai propri genitori seppur in anni completamente diversi da oggi dove ne fanno da padrone le tecnologie, le vendite a distanza, l’aggiornamento continuo, la competitività ad altissimo livello. Ma il peso del paragone è reale e non mi meraviglia sapere, non solo nel mondo del vino, di famiglie divise proprio perché i figli non riescono a sopportarne il peso. Per me e mia sorella questa continuità non è stata una zavorra perché i nostri genitori si sono sempre prodigati ad evitarcela lasciandoci libere di esprimerci mediante un mutuo riconoscimento. E’ una questione di educazione familiare, credo, e di intelligenza reciproca.

Benedetta. Castelvecchio ha una lunga storia, precedente a quando, nell’anno in cui nacque mia sorella Isabella, la mia famiglia comprò la tenuta. Documenti ritrovati raccontano di una tradizione vitivinicola dal sedicesimo secolo con i nobili Della Torre di Duino che qui avevano la loro riserva di caccia: il territorio carsico, unico per la sua terra minerale rossa, fruttava già una Malvasia e un Terraneo eccellenti, oggi come allora i nostri migliori vini. Da un vino pregiato per pochi ad un mercato globale il passo è stato dovuto in un mercato enogastronomico sempre più in continua espansione.

Fra voi e i vostri genitori si è già compiuta la “staffetta”?

Isabella. (ride) No, assolutamente, i miei genitori sono molto presenti anche perchè ricordiamoci che loro appartengono a quella generazione dove il lavoro, oltre la famiglia, è tutto. E poi sono fortunatamente in salute e la loro quotidianità, soprattutto quella di mio padre, è quella di passeggiare per la tenuta, scartabellare gli ordini ricevuti, essere sempre aggiornato sulle annate. Io credo che per loro non sia un “lavoro” da cedere, ma una passione da condividere.

Benedetta. Mia madre è maggiormente legata alla parte storica della tenuta e il suo ruolo qui è più di ricercatrice: ha organizzato eventi, scritto due libri, omaggiato personaggi storici illustri che hanno esaltato questa terra come Giuseppe Ungaretti. Questo ci ha permesso di intercettare anche un turismo storico e scolastico.

Qual è il posizionamento e lo sforzo della nostra Regione nel mercato vitivinicolo?

Benedetta. Il Friuli Venezia Giulia è rimasto un po’ indietro rispetto ad altre Regioni italiane che hanno investito e spinto l’indotto molto prima di noi –penso ad esempio alla Toscana e al Piemonte-. Anni addietro difatti, i prodotti enogastronomici di queste Regioni sono stati fortemente promossi all’estero, America in primis, mentre da noi veniva fatto ancora troppo poco. Ma nessun’altra soggezione verso i nostri concorrenti: noi siamo ben consapevoli che la terra ed i frutti della nostra Regione sono unici e non secondi a nessuno.

Isabella. Ci siamo spesso domandate se la promozione della nostra Regione fosse adeguata al mercato e se fosse auspicabile una certa unitarietà anziché l’attuale frammentazione, ma debbo preferire questa seconda perché i molti progetti a cui abbiamo aderito in passato, accomunati dallo sforzo aggregativo, hanno scontentato i più. Ricordiamoci infatti che nella nostra Regione esistono tanti “doc” ove ognuno rivendica il proprio, la propria specialità. Non siamo come in Francia ove un’unica etichetta, “champagne” ad esempio, raggruppa tanti produttori; qui ognuno custodisce e spinge il proprio avamposto orgoglioso della tipicità che lo caratterizza e così pure noi preferiamo una promozione singola e individuale lasciando all’iniziativa pubblica solo il generico rilancio del territorio.

La scelta dei vostri genitori di comprare questa Tenuta sembra una pazzia, un colpo di testa considerato che loro non erano imprenditori vitivinicoli: nessun timore?

Benedetta. Più che un “colpo di testa” lo definirei un “colpo di cuore”, mia madre se ne innamorò perdutamente in quelli che erano gli anni 80: il Paese cresceva, c’era fiducia, tutto pareva possibile e loro, pur non essendo dei produttori di vino, comunque avevano radici nella campagna comasca tra pollai, i tempi della terra, storie di contadini grandi lavoratori. No, non ebbero timori, credo viceversa fossero elettrizzati ed eccitati dal loro acquisto il che potrebbe sembrare scontato oggi vista la bellezza della tenuta, ma bisogna ricordare com’era questo posto negli anni ottanta: ettari di terra per la maggiore incolta, boschi infestati dai cinghiali, un deposito degli attrezzi (oggi la villa), stalle in disuso. Qui era tutto da rifare: il loro investimento (di danaro e di fatica) è stato enorme.

Voi siete di origine comasche, vi sentite lombarde o friulane?

Assolutamente friulane.

Che impronta identitaria avete dato alla produzione ultra centenaria del vino di Castelvecchio?

Isabella. Dacché ho memoria, ricordo che a casa mia ci sono sempre stati prodotti biologici, mia madre per un periodo aveva anche un negozio di beni biologici nei quali credeva fermamente in anni in cui il “bio” era solo una nicchia. Da lì a riconvertire tutti i 40 ettari di viti in biologico il passo era conseguente, scelta che, tra l’altro, ha dato un valore economico enorme al nostro prodotto mediante nuovi canali di vendita.

Benedetta. Il prossimo step è un livello ancora più spinto del biologico ovvero il biodinamico: l’usare prodotti concimanti o fertilizzanti non solo coerenti con l’etichetta “bio” ma addirittura da noi stessi prodotti mediante il riuso degli scarti.

Vostro merito poi l’aver iniziato e consolidato nuovi filoni tra cui la piantumazione di ulivi e l’attività di eventi: matrimoni, feste, cerimonie. Quali altre novità avete in serbo che desiderate anticiparmi?

Isabella. I matrimoni negli anni si sono trasformati da feste in veri e propri eventi che vengono organizzati anche un anno prima. Chi sceglie la nostra location non cerca il lusso o il fiabesco ma qualcosa di rustico, caldo, accogliente, agreste direi. Nulla di pomposo dunque, piuttosto bucolico tra gli esterni che guardano la sponda carsica e il tempietto che, pur non essendo consacrato, è meta adorata del nostro parroco di Sagrado. MI piace ricordare un matrimonio in particolare dove tutti gli uomini erano vestiti in smoking, i tavoli antichi, merletti da mercatino, luminarie essenziali: il tutto molto bohème, di quella raffinata ricercatezza ma senza eccessi.

Benedetta. Prossimo step è l’inaugurazione del wine resort: dieci camere, di cui due in stile e le altre più moderne, che stiamo ristrutturando all’interno della villa. Castelvecchio non è solo vino o olio o eventi, è bellezza da vivere oltrechè da assaggiare.

I vostri genitori hanno già cinque nipotini che, seppur piccolini, sono già parte dell’Azienda?

(ridono) sì, i bambini sono già coinvolti a modo loro: amano giocare tra i filari con il metal detector, stare con noi in taverna in mezzo alle persone. Sarebbe bellissimo se si appassionassero alla tenuta ed espandessero un giorno con le loro idee questo progetto di vita e lavoro tanto amato dai loro nonni.

Voi siete due imprenditrici donne, in quanto donne avete mai vissuto la richiesta di un uomo che vi chiedeva di rinunciare al vostro lavoro per stare più a casa?

Benedetta. Per noi lavorare fa parte della nostra quotidianità, siamo cresciute con questi esempi e li tramanderemo a tutti i nostri nipoti, maschi e femmine equamente. È espressione, è ricerca, è gioia. Se avessi incontrato un uomo che mi avesse chiesto di lasciare il mio lavoro per lui, non sarebbe stato sicuramente l’uomo giusto per me.

Isabella. Da quando ho avuto i miei tre bambini, ho scelto da sola di mettere un po’ da parte il lavoro per dedicarmi alla loro tenera età e non perdermi questi anni. Mio marito non me l’ha mai chiesto come non si è mai atteso da me nessuna rinuncia in generale: quando il lavoro è inteso come espressione di sé ha un valore maggiore del semplice ritiro dello stipendio e diventa una scelta di libertà.   

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