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SARA TERPIN

blogger di SLOvely.eu

Sara Terpin

Una fatina che racconta le tradizioni popolari cristiane e pagane della sua amata Slovenia: è Sara Terpin, giovane professoressa e traduttrice di San Floriano del Collio. Ascoltarla mentre mi racconta dell’intaglio delle zucche come momento di preghiera, delle corone di margherite gialle e bianche per festeggiare il giorno di San Giovanni, dei riti propiziatori del Carnevale mi rapisce in un’atmosfera magica. Come possibile che tutto questo sia intorno a me in un territorio che mescola storie, lingue ed eredità passate, senza che io ne sappia nulla? A offrire rimedio c’è Sara: raccontare, diffondere, aiutare la custodia di quei riti popolari sloveni appartenenti al vicino stato Sloveno e ai comuni della minoranza slovena in Italia. Ma non solo: il rapporto fra Stati, l’anima intrecciata delle due Gorizie, l’aiuto linguistico, la visibilità dei territori meno conosciuti, le paure del passato, gli effetti del lock down, il comunismo ed il fascismo, gli strascichi della diffidenza e le luci nelle nuove generazioni.

Sara è una moderna guida culturale-turistica che si è distinta con il suo blog SLOvely.eu fra migliaia di altri siti nazionali e internazionali che parlano di viaggi e di cultura. Le visualizzazioni dei suoi video su facebook sfiorano le 50.000 visualizzazioni e da sette anni il suo è tra i blog più visitati in Internet per conoscere la Slovenia e i vicini territori. Non male per essere partita da zero armata solo di passione e costanza.

Le sue parole sanno di buono: di sagre popolari, di canti intorno al falò e di quel buon vino rosso un po’ pastoso offerto alle sagre. Sara coniuga le tradizioni, l’importanza del ponte fra le culture e una studiata tecnologia nella consapevolezza che oggi non basta fare e né fare bene, bisogna diffonderlo e farlo sapere. La ascolto rapita: mi attrae il suo ripercorrere gli ultimi decenni della coesione della comunità italiana e slovena, in fin dei conti questo è lo scenario dell’infanzia e della vita degli abitanti di tutta la provincia di Gorizia.  Con questa curiosità, consapevole che la ricchezza della nostra terra di confine stia proprio nella sua multiculturalità, inizio la mia intervista.

Sara, raccontami di te e del tuo percorso che ti ha portata a fondare il blog SLOvely.eu.

Fin da piccola ho nutrito due grandi passioni: i viaggi e le lingue straniere. Dalla mia laurea in lingue ho proseguito con un dottorato di ricerca in germanistica e comparatistica a Monaco e da lì all’insegnamento il passo è stato breve. E’ stato proprio durante l’insegnamento delle lingue che è nata la mia idea di SLOvely.eu: desideravo arricchire le lezioni di sloveno, non limitandomi alle sole nozioni di grammatica e ortografia, con informazioni che raccontassero anche la cultura e tradizioni. Cercando dunque su internet vari contenuti già tradotti in lingua italiana da ritagliare per offrirle ai miei studenti, mi accorsi che non ce n’erano: incredibilmente se una persona voleva approfondire, al di là delle solite impersonali guide turistiche, fatti eventi o percorsi della Slovenia o dei territori della minoranza slovena in Italia, questi non esistevano già tradotti. Dunque iniziai io a scrivere dei brevi testi sulle tradizioni slovene, sugli scrittori e poeti più importanti, sulle bellezze naturalistiche e artistiche e questi articoletti riscossero fin da subito molto interesse nelle mie classi. Per praticità didattica poi li raccolsi in un sito pubblico ed ecco che nacque “SLOvely”, che poi è un gioco di parole tra le lettere “Slove-” come “Slovenia” e “lovely” nel senso della parola inglese per “bello, carino”. Il blog lo inaugurai ufficialmente nel 2012 e da allora si è molto modificato nella forma e nel contenuto ampliandosi con nuove rubriche. Successivamente unii anche un profilo Instagram, una pagina Facebook e un canale su YouTube per pubblicare i video reportage. E’ così che un’isolata iniziativa è diventata il cuore di un grande network comunicativo di cui oggi ne vado orgogliosissima.

Parlami allora di come il blog è mutato negli anni.

Dall’obiettivo iniziale, SLOvely.eu è molto cresciuto con rubriche nuove e si è arricchito di una nuova mission ovvero di fungere anche da ponte tra la cultura slovena e quella italiana, promuovendo la conoscenza della lingua, dei luoghi e delle tradizioni slovene in modo fresco e accattivante, facendo uso dei social media e dei moderni strumenti di comunicazione in genere. Ambizioso se si considera questo è un progetto completamente autofinanziato e senza scopo di lucro.

Qual è il tuo pubblico medio?

Data la varietà degli argomenti trattati, il blog attrae visitatori diversi, da chi cerca idee per un viaggio in Slovenia (approfittando del fatto che nel blog tratto soprattutto luoghi particolari al di fuori delle classiche mete turistiche) a chi è interessato alla sola gastronomia o è incuriosito dalla lingua e dalle tradizioni popolari cristiane o pagane. La pagina Facebook rappresenta poi un ulteriore strumento di divulgazione dei contenuti e di contatto con i lettori che ci scrivono per consigli, informazioni o anche solo per condividere le proprie foto e impressioni.

Parlare di viaggi e di scambi culturali oggi con alle spalle il lockdown e davanti la paura di uno nuovo dev’essere tutt’altro che facile. Come hai affrontato queste novità e come queste hanno trasformato il tuo lavoro?

Il lockdown e la chiusura dei confini tra Italia e Slovenia è stato un duro colpo per me non potendo più viaggiare liberamente, incontrare e raccontare le persone di confine. Ho quindi deciso di promuovere viaggi virtuali: fra i tanti voglio ricordare quello organizzato tramite la pagina Facebook e grazie la RAI regionale slovena che invitavano le persone ad inviare video in cui la gente intonava (in sloveno o in italiano) la canzone “Tisti ljudje” del cantante sloveno Rudi Bučar, canzone che trasmette energia positiva e ottimismo. Al progetto hanno partecipato ben 40 persone da 10 Paesi del mondo tra cui anche nomi noti dello spettacolo dalla nostra Regione e dalla Slovenia. Lo scopo di questo progetto, ovviamente, era quello di unire le persone, consentire virtualmente un viaggio con la realizzazione di un progetto trasversale, per superare quel senso di isolamento che ha pervaso tutti noi.

E della rete che fu messa di nuovo sul confine a separare le due Gorizie, seppur per ragioni di sicurezza sanitaria anti Covid, cosa ne pensi.

Inizialmente mi ero limitata ad osservare cosa stava accadendo: ho così scoperto storie di famiglie che a causa delle restrizioni non potevano più incontrarsi ed erano “tagliate a metà”, storie di coppie e amici che avevano trovato come unico punto d’incontro possibile la piazza della Transalpina, storie di piccolo contrabbando, di difficoltà degli imprenditori e agricoltori locali ma anche di speranza e di iniziative volte a riunire anziché dividere. Uno dei miei mini-reportage dal confine, la partita di badminton oltre la rete che separava il lato italiano da quello sloveno proprio nella Piazza Transalpina, è stato trasmesso dal TG3 regionale.

Successivamente sono stata promotrice di iniziative come un piccolo happening all’insegna della musica: il coro femminile Danica di Vrh svetega Mihaela / San Michele del Carso, la cantautrice goriziana Paola Rossato e il musicista di Nova Gorica Erik Gregorič che, ognuno dal proprio lato del confine sulla Piazza Transalpina, hanno cantato e suonato canzoni slovene e italiane. Il video dell’evento, pubblicato sulla pagina Facebook, ha avuto oltre 13mila visualizzazioni in meno di una settimana ed è stato inserito nel documentario “GO-VID Quando riappare il confine”, realizzato durante il periodo della chiusura dei confini tra Italia e Slovenia. Si tratta di un filmato di mezz’ora circa, realizzato con Carlo Ghio che ne ha firmato la regia, che cerca di catturare gli eventi e l’atmosfera di quel periodo attraverso i racconti e le emozioni delle persone che vivono lungo il confine. Si presenta quindi come un’istantanea di un momento storico non facile, da cui emerge un forte desiderio di stare insieme e superare le divisioni, nella speranza che nessun confine separi più le due comunità. Ciò che mi rende orgogliosa è che il documentario era in gara al Festival del Cinema Sloveno di Lubiana ed è stato proiettato in una delle più importanti sale cinematografiche slovene, portando così la storia del nostro territorio transfrontaliero fino alla capitale slovena e quindi ad un pubblico ancora più vasto. Dopo Lubiana, “GO-VID Quando riappare il confine” è stato selezionato anche per partecipare al Festival del Cinema K3 di Villach e al Festival del Cinema Sloveno di Beograd, che avrebbero dovuto svolgersi a dicembre di quest’anno ma sono stati posposti per ovvi motivi.

Qual è secondo te lo stato di salute del rapporto tra Gorizia e Nova Gorica e, più in generale, della comunità italiana con quella slovena?

Negli ultimi 15 anni c’è stata un’enorme apertura all’incontro da parte di entrambe le comunità, italiana e slovena, penso soprattutto alle scuole di lingua slovena che oggi accolgono sempre più bambini non appartenenti alla minoranza. Questo è un segnale importantissimo una volta impensabile sia per chi poteva iscrivere sia per chi doveva accogliere e fa ben sperare nel futuro perché, attraverso la lingua e la crescita scolastica, la comunità italiana viene a conoscenza del mondo culturale sloveno, delle tradizioni, dello stile di vita, una conoscenza che è mezzo di reale integrazione. Di questo me ne accorgo anche oltre all’età scolare, ad esempio nei corsi di lingua per adulti. Però, se da un lato riconosco questo dall’altro mi dispiaccio che esista ancora uno zoccolo duro di persone che alimentano, tentando di perpetrare antichi asti, un’accesa contrapposizione. Ne leggo spesso sui social e, a far testo solo su loro, parrebbe che negli ultimi decenni non sia cambiato nulla in questo rapporto se non addirittura peggiorato. Poi però mi sforzo a dare ai social il giusto peso e a ricordarmi che, anche a livello istituzionale, sono stati fatti passi da gigante: una volta potevamo immaginare la collaborazione tra il Comune Gorizia e quello di Nova Gorica per la congiunta candidatura a Capitale Europea della cultura?  Impensabile davvero dove spero che questo propositivismo presto si diffonda tra le strade e tra la gente risvegliando un po’ quella vita culturale che ne ha tanto bisogno.

Attraverso il tuo blog, sveli l’animo più autentico della tua Slovenia: i riti, le tradizioni e le usanze. Raccontami quelli che assolutamente io, abitante del confine Goriziano, devo conoscere.

Confesso la mia enorme passione per l’etnografia e per tutto ciò che riguarda le feste tradizionali e le usanze ad esse collegate. Tra queste voglio ricordare ad esempio il giorno di San Martino che celebra l’arrivo dell’autunno con feste per celebrare la ricchezza del raccolto maturato. Poi Ognissanti, “Vsi sveti” in sloveno, al posto dell’Halloween americano, quando in famiglia si intagliano le zucche per riporci dentro una candela, usanza nata per simboleggiare la luce offerta alle anime del Purgatorio. Ricordo che lo stesso scopo aveva una candela ad olio che mia nonna comprava appositamente solo per questa festività e che doveva rimanere accesa, per tale credenza religiosa, tutta la notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre: era un po’ come un “fare la guardia” (dal termine “Vahti”, guardia, usato nel dialetto della regione Primorska). Poi c’è la festa del Primo maggio (prvi maj in sloveno) che è un’altra ricorrenza molto amata in Slovenia, dove ci sono ben due giorni di vacanza, il 1 e il 2 maggio. Fino a circa metà degli Anni Ottanta questa festa aveva un chiaro ed esclusivo connotato politico, con cortei di operai che portavano all’occhiello un garofano rosso, ora invece è anche un giorno dedicato al divertimento, con canti e balli a celebrare i vecchi riti prepagani collegati al culto della primavera e delle divinità femminili legate alla fertilità. In Slovenia, infatti, sono ancora vive usanze antiche legate al primo maggio, con varianti leggermente diverse nelle varie regioni. Una delle usanze più diffuse è l’accensione di un grande falò, di solito sulla sommità di una collina, intorno al quale si radunano persone di ogni età che cantano, bevono e condividono il cibo. Falò e buon cibo vengono accesi anche nella notte di San Giovanni, il 24 giugno, giorno legato al culto del fuoco e del sole. La particolarità di tutte queste usanze è che alla base si cela un’anima molto più antica che è arrivata fino ai giorni nostri “travestita” da gesti e usanze legate alle festività cristiane. Scavare nel loro significato più profondo è in un certo senso un tentativo per risalire ad un passato lontanissimo dove si adorava quello che era considerato essenziale nella sua semplicità: la natura, la fertilità delle donne e il susseguirsi prospero delle stagioni.

Rivelare il passato di certi riti ha un senso quasi intimo e privato. Come le hai vissute tu in prima persona?

Sono legata con profonda riconoscenza a questi racconti e a questa rubrica in particolare perché rappresenta un momento di sincera condivisione con il senso più puro e autentico della nostra terra e della gente che, ad esempio nelle Valli del Natisone e a San Floriano del Collio, hanno custodito, e molto gelosamente, riti e usanze tramandandole con amore e dedizione e onorandomi di essere parte della loro comunità.

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